MARIA NOVELLA DEL SIGNORE
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Maria Novella Del Signore
Da paesaggio a paesaggio

L'orizzonte della visione.

Esiste un ambito territoriale, che si potrebbe definire del bordo, in cui alcuni artisti - è questo il caso di Maria Novella del Signore - hanno fissato a volte la loro residenza creativa. Appartengono al bordo tutti i crinali, i confini, le soglie, i diaframmi di contatto tra due realtà. Proprio nel margine, la visione si apre su due lati, perché si è in una zona di transito, osmotica, in cui tutto trapela e tutto passa senza coagularsi e rapprendersi in una forma stabile e definitiva. Permanere in quell'ambito costituisce un gioco di esercizio di equilibrio quotidiano che impone elasticità e leggerezza degni di un giocoliere, che l'esperienza è fatta su fragile e fluido materiale. Lì dove una terra finisce e ne comincia un'altra si stabilisce una linea di orizzonte, ma l'orizzonte sebbene disegnabile e visivamente percepibile, è uno dei segmenti di realtà più sfuggenti alla presa e alla definizione. L'orizzonte è mobile, irraggiungibile, si sposta con il nostro andare e con il nostro guardare. Fissare l'orizzonte in una immagine è fissare un'idea provvisoria, ecco perché il primo paesaggio realizzato da Maria Novella del Signore lo troviamo aperto a respirare la transitorietà in atto in quanto Orizzonte (1972). L'opera si presenta con i colori di un crepuscolo, orizzonte e crepuscolo sono due stati, permanenti e mobili, in perpetuo divenire, come a dire che non esiste l'uno senza l'altro ed è tra questi due fluttuanti confini che Maria Novella del Signore "fissa" la propria area d'intervento artistico. Ciò che scaturisce da questo gesto, che vogliamo prendere quale punto di partenza per un breve itinerario attraverso l'opera dell'artista.è tutto riconducibile ad una scelta primaria di vita in cui il "margine" diventa l'unico possibile luogo in cui stabilirsi a guardare gli incontri delle correnti mutevoli che qui hanno origine. Acciuffare o meglio lasciarsi scorrere con il flusso di queste correnti, è il richiamo cui non è possibile sottrarsi. Qui si potrà intervenire, quasi senza averne l'aria, con un tocco leggero, modellando questo niente o meglio questo non ancora, per fermarlo nello stato aurorale del suo manifestarsi e offrirlo quale territorio ospitale all'altro. E' questo il caso del trapasso di colori, un'Aurora (1984) ancora un crepuscolo, presentato nell'auditorium del P.S.1 di New York. Un lungo telo di seta sospeso al centro della stanza colorato con l'aerografo sulla gamma cromatica di un mattino nascente su cui nell'arco di quattro ore trascorre una luce e un suono sincronizzati, che oscillano da un minimo di flebilità ad un massimo d'intensità (esattamente da 20 a 20000 Hz) e vice-versa. Luce ed ombra, e ombra e luce, si alternano senza mai fermarsi con l'accrescersi e il decrescere dell'onda sonora. L'unico principio determinato è l'indeterminato. Usare dunque il colore e l'aria, il colore è una materia fluida come pure l'aria, come unirli? l'aria è un velo di seta, una nebbia che viene appuntata e catturata per un momento su di un supporto rigido per essere imbevuta di colore, e poi lasciata fluttuare in libero contrappunto con un'altro velo a creare Volume (1981). Il colore depositato e stratificato sulla carta di supporto compie un'altro viaggio da cui nascono esperienze cromatiche vicine alla pittura definite Ritagli.  All'interno del perimetro limitato del campo  visivo definito dall'area del foglio si stabiliscono una miriade di micro-eventi collaterali e sincronici che favoriscono rallentamenti e accelerazioni nella lettura, tempi e controtempi, vuoti e pieni.
Le elaborazioni rimangono acorate a materiali in sé privi di forma e destrutturati fino a quando il passaggio al medium della ceramica, ferma in un attimo la dinamica del movimento in una Piega (1996) quale nuovo fenomeno strutturante la forma.
Ancora un altro elemento va ad arricchire quella cognizione di paesaggio che abbiamo tentato di definire in queste righe. Fine stagione (1996) si presenta nella penombra del grande studio dell’artista quale letto/fiume di morbide pieghe rapprese, adagiate sul tulle che scorre al centro della stanza mentre lateralmente e quasi in disparte un tavolo di ferro dalle gambe esili e alte sostiene una moltitudine di coni di cristallo dalle ombre  iridescenti, creano la suggestione di un paesaggio siderale. Il lavoro si avvale ancora una volta di tracce sonore, questa volta elaborate dal figlio Tommaso. L'elemento da modellare rimane sempre quello fluido ma ora la fluidità assume la consistenza visiva dell'acqua, il cui movimento è stato bloccato in uno stato di glaciazione, mentre un'altra acqua, più profonda, sembra continuare a scorrere, nascono cosi i Fluidi (1997). Questo nuovo campo di sperimentazione ha luogo a Marsiglia ed è condotto sul vetro termoformato iridato. Il processo di lavorazione ha tempi rapidissimi e il gesto veloce che modella è registrato dalla materia  rappresa e iridescente.                                                     
Nella scelta della prassi operativa è leggibile il retaggio di una cultura artistica che a partire dal Surrealismo aveva adottato pratiche operative processuali tali da lasciare che si rivelasse, insieme all'impronta individuale, un paritetico comportamento strutturale della materia impiegata. Maria Novella del Signore, attinge tanto a questi antecendenti storici, quanto ad una conoscenza sulle più aggiornate teorie scientifiche filtrate dalla presenza costante, a supporto integrato dei suoi lavori, di Giovanni del Signore. Ad Even in thè dark, presentata nel giugno del 1999 a Firenze presso Sta Project fa seguito nell'autunno di questo stesso anno l'esposizione  londinese di Two fields and more, che ne raccoglie e dilata le suggestioni e le tematiche. Due grandi tavoli fanno da supporto a due  "paesaggi", fìelds, sui quali campeggiano collinette coniche di cristallo le stesse elaborate per il lavoro del 1996. Qui la rigidità geometrica è "corretta" a mano in ogni pezzo; un tocco veloce apre la staticità chiusa della forma per restituirla al mondo incerto e mutevole, indeterminato appunto del fluire della vita. Pure mutevoli sono i bordi dell'ombra luminosa che le collinette proiettano sui loro dintorni disegnati nella polvere di marmo. In parallelo a questo microcosmo e sospesi al di sopra come a protezione di quelli, due diversi territori tecnologici fatti di lenti, specchi, alimentatori elettronici, costruiscono una sorta di alter ego del mondo sottostante e ad un tempo segnano il limite superiore del bordo di cui i paesaggi di colline coniche sono il limite inferiore. Ancora una volta accompagnano i lavori le misteriose sonorità elettroniche di Tommaso del Signore.
È come se il primo nucleo-seme del lavoro, dopo svariate peripezie e molteplici metamorfosi, fosse riuscito ad approdare  alla meta pensata introvabile, quella terra di mezzo, patria e origine di ciò che esiste e ciò che deve ancora avvenire, qui avesse attecchito  per poi svilupparsi  ulteriormente in nuove direzioni. Ne è conferma la costruzione Some Fields, and Strings (2003) al Museo Marino Marini a Firenze. La grande installazione (un’edizione completamente modificata rispetto a quella londinese) si arricchisce di  un nuovo blocco modulare e delle nuove sonorità metalliche delle stringhe messe a punto da Tommaso Del Signore. Some Fields, and Strings occupa tutto lo spazio della cripta del museo e, proprio per questo, si potrebbe definire un lavoro monumentale se non fosse per il fatto che il congegno  formale è concepito per focalizzare l’attenzione sul campo di forze che si affrontano tra i due piani sovrapposti:quello superiore illuminante, raziocinante, tecnologico, scientifico, focalizzante; quello  inferiore intuitivo, sfuggente, mutevole, discontinuo, mutante.
Una volta raggiunto quel luogo attonito, segreto, minerale, abitato da una oscura foschia luminosa, hanno luogo le esperienze successive : Some Bodies Memories  (2006) a Villa Pacchiani di Santa Croce sull’Arno, e Animal Erth (2007) alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di San Gimignano. In  Some Bodies Memories è come se una sonda spaziale, partita per esplorare proprio quell’area attraversata da cariche di energie rattenute, avesse riportato indietro un gruppo di reperti poi riordinarti nelle sale di un museo secondo una tassonomia che si percepisce frammentaria perché in progress. Sono esposte varie tipologie di guaine-pelli dalle superfici cerose e vetrose, intrecciate a meandri, inturgidite dalla pressione di spasmi tellurici sottostanti. Talvolta le superfici mostrano opalescenze verdognole generate da una luce endogena, talaltra esse sono animate dall’esterno da liquide luci giallo-acido: reperti di un organismo ormai pietrificato o, viceversa, di un mondo minerale che sogna, profetizzandola, la propria condizione organica. Infatti alla prima tipologia di reperti se ne affianca una seconda fatta di gigantografie di lucertole morte, fotografie di mani di una giovane santa, cui si aggiungono un nido vuoto e una gibbosa patata americana impennacchiata da un verde germoglio. Tutti insieme i “reperti” alludono in modo lacunoso ma proprio per questo potente, alla forma impossibile di un unico corpo attraverso cui fluisce  incessante il movimento della vita anche laddove non è riconoscibile come tale. Con Animal Erth,  alla Galleria d’Arte Moderna di San Gimignano, il visitatore non è più messo in relazione con l’idea di “reperto” bensì, senza altri intermediari che le proprie capacità  percettive di vedere, di udire e muovendosi, è portato a diretto contatto con il fenomeno sorgivo, come se l’artista volesse mostrare i movimenti della materia come lei li ha visti e trovati. Così, mentre  da un lato si è richiamati dal profumo di cera disciolta che si sprigiona da recipienti  di alluminio disposti negli spazi più raccolti della galleria; dall’altro si è indotti ad inoltrarsi  in una breve passeggiata attraverso la maggiore delle sale espositive perché  attratti dalla serie di “vasche” a terra  riempite da  bianche sabbie dal colore lunare di carbonato di calcio. Qui si può udire il respiro della terra che si solleva e si abbassa, ad intervalli regolari, sotto la spinta di meccanici bradisismi azionati da pompe che regolano i polmoni nascosti di caucciù; qui si può rimanere lungamente ad osservare le mobili topografie determinate  dalla materia incoerente che scivola corrugandosi  in desertici canyon. Accade dunque che certi accenni a forze cristallizzate espresse in precedenza dall’artista vengano mostrate in questo caso come forze in atto, esposte in superficie, per così dire, alla luce del sole, ovvero ri-velate e, appunto perciò, il segreto del loro essere rimanere gelosamente custodito. È come aver visto in lontananza,  solo per un attimo, lo sbuffo di una balena immediatamente rituffatasi negli abissi.

Laura Vecere, Florence, 5 settembre 2009

 

 

 

orizzonte
Aurora
Ceramic
Annaliviaplurabella
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Even in the Dark
Staying still
Animal earth
The Red Room