MARIA NOVELLA DEL SIGNORE

MNDS BEDS.
Laura Vecere, 28 Aprile 2007

Disseminate ovunque, a partire dal singolo elemento fino agli aggregati da cui nasce un progetto di mostra, le tracce di un movimento costante delineano, nell’opera di Maria Novella Del Signore, il profilo di una negazione reiterata contro il principio di unicità della cosa. Consegnata al perdurare dal confine dei suoi contorni la cosa si apre e i contorni cedono, sfaldandosi sotto l’impeto di una spinta rinnovata che la toglie dal suo isolamento ontologico e la incalza senza sosta e al di là di se stessa, verso nuovi adempimenti.

L’artista predilige infatti l’uso di medium spesso incoerenti e privi di struttura autonoma come il tulle, il vetro (in varie conformazioni), la cera, la paraffina, il sale, le polveri di marmo e, anche quando si avvale del mezzo fotografico, l’immagine che ne risulta non emerge nella sua singolarità, ma si nasconde affondando nell’ambiguità dei profili sovrapposti. Inoltre le titolazioni dei lavori e delle mostre soggiacciono alla stessa legge di mutazione del lavoro, in essi è facile imbattersi in termini che ne indicano una loro condizione di provvisorietà a sottolineare, anche con le parole, che nessuna “figura” è mai ritratta “in posa”, ma muta di stato in un compimento mai concluso.

Pur tuttavia, nell’arco complessivo del suo percorso, il movimento descrive una traiettoria che procede dall’esterno all’interno. Un interno che però non porta verso l’interiorità psico-soggettiva-umana bensì indica l’avvicinamento progressivo e continuato alla terra incognita, desoggettivata della stessa cosa. Tutto ciò implica uno spostamento radicale del punto di vista conoscitivo, i cui punti di flesso sono individuabili in due lavori: Orizzonte (1972) e Annaliviaplurabella (1980). Si trascorre cioè da un lavoro che implica verticalità della visione, al secondo dove la rotazione della medesima, rovesciata e resa orizzontale, muta di senso oltre che di segno: l’orizzonte diventa orizzontalità. Nell’abbassarsi il senso del vedere si ricongiunge al senso del tatto e dell’olfatto, fino poi a disperdersi all’interno della materia di cui la cosa è fatta.

Questi passaggi erano già stati individuati da chi scrive in corrispondenza di precedenti fasi del lavoro che portavano a suddividere l’opera in stati gassosi, fluidi e precipitati1. Vale a dire che all’aumento di peso della materia seguiva un abbassamento nella direzione della gravità e a questa discesa era correlata la costruzione di strutture orizzontali quali il letto-fiume di Annaliviaplurabella, i cassoni dei Two Fields and more…(2000), i tavoli delle paraffine ( 2003), la pavimentalità di Homes (2002), e di Some Fields, and Strings (2003), fino ai dodici “letti” respiranti di Animal Earth (2007), che danno il titolo della mostra di San Gimignano, dove l’inerte polvere di marmo si alza e si abbassa, bradisismicamente animata da un meccanismo nascosto, disegnando ignoti paesaggi murenici, privi di echi umani.

In mostra.
Apparecchiati su tavoli di laboratorio in due “vassoi” quadrati di alluminio specchiante, in uno sono disposti quattro fagotti accartocciati di cera rosata, grumi di pelle quasi respirante mentre, nell’altro sono depositati medesimi aggregati colorati in leggero celeste, Untitled 1, 2, and…(2007).
Una sala raggruppa, in una sorta di inrtoibo, opere “documentarie” che mostrano la trama strumentale di cannelli, fili e tubicini di gomma che costituiscono il tessuto motorio celato sotto la polvere di marmo di Animal Earth. Qui si fronteggiano in dialogo due grandi fotografie su alluminio: The Hidden Part of Animal Earth di Tommaso Del Signore e le elaborazioni in acetato con piani sovrapposti e profili mobili di Maria Novella Del Signore, Inside Animal Earth.
Alle visioni cangianti seguono ancora accordi, dissonanze e mutazioni, sia visive che olfattive. Così, dall’odore di cera emanato dal “crogiuolo” di alluminio di Bed of Time, si trascorre al dolce profumo di erba effuso da un’ampolla inalberata in cima a un congegno dove è racchiuso il liquido saturo dell’aroma del mondo-terra. Sono procedure aperte e intrecciate - e qui l’intersezione “naturale” e peculiare di Del Signore è quello di inglobare, in più circostanze, i contributi del figlio Tommaso nell’ambito del proprio lavoro - che aprono brecce di processualità al quadrato nella stessa processualità del lavoro.
L’onda di vibrazione di un unico movimento rifratto in più luoghi ha la sua celebrazione corale nell’insieme delle dodici strutture geologico-pavimentali di Animal Earth dove il movimento ritmico è accompagnato dal respiro meccanico delle pompe azionate elettricamente.
In questi lavori è la materia e il suo stato di trasformazione ad essere la protagonista assoluta e la “forma” non ha più corso nei termini d’idealità, di somiglianza, di verticalità. Nulla somiglia a nulla, se mai c’è un assecondare la continua diversità della materia fatta di sobbollimenti, slittamenti, liquefazioni, micro-catastrofi che ne sconvolgono e modificano gli spazi interni.

Per questa strada si giunge ad una prossimità che decreta la fine della distinzione senza più residui tra soggetto/oggetto e, con essa, di tutte le polarità oppositive e rivali che definiscono il nostro campo di conoscenza. Si delinea quella zona di “intimità” dove ogni binomio oppositivo-antagonista si con-fonde nel conformarsi al movimento della vita della cosa. Nell’intimità si realizza il paradosso della compresenza e della comunicazione dei contrari. Nell’intimità la vita e la morte raggiungono la massima intensità nella reciproca esaltazione. È qui che una natura morta, “still life”,può tramutarsi in una natura ancora vivente: Still Living (2004). In essa, la “forma” non può darsi se non in modo indefinito, sempre aperta e in continuo germogliare.

“Tutto intorno fermentava, cresceva, montava, al magico lievito dell’esistenza. Il fervore della vita, come un vento silenzioso, avanzava a grandi ondate, senza sapere dove, sulla terra e sulla città, attraverso i muri e i recinti, attraverso il legno e i corpi, abbracciando col suo fremito quanto incontrava sulla propria strada.” (B.L.Pasternàk)

Tuttavia questo luogo senza dimora, ha un suo modello, un suo perimetro erratico, psichico, simbolico che sostiene e percorre il lavoro di Maria Novella Del Signore: il letto. La figura “letto”, apparsa più volte e in più circostanze nel corso di questo scritto, si riappropria di tutto lo spessore simbolico che gli appartiene, un senso di complessità che connotava ogni oggetto prima che questo venisse adibito ad una funzione d’uso puro e semplice. Letto, fiume, tavolo, aiuola, culla, vita, eros, morte, sonno, sogno, rêverie…sono tutte accezioni che suggeriscono una “filosofia del riposo”, indicano uno stare in intimo contatto con le cose poiché ”l’essere del sognatore invade ciò che tocca, si diffonde nel mondo”. Il riposo crea la condizione mentale che apre ad un’ontologia dispersiva, portata sui dettagli e sui frammenti2.
Ed è a partire dalla roccaforte di questa figura topica ma cangiante e impossibile da localizzare attraverso coordinate di riferimento fisse, l’artista si immerge o si solleva, il che è lo stesso, ad esplorare i domini nascosti delle altre dimensioni del reale, alla ricerca dell’inumano, come aveva scritto di lei Jean-François Lyotard3.

1. Cf. L. Vecere, Passaggi, in Maria Novella Del Signore. Some Fields and Strings, Museo Marino Marini, Firenze 2003.
2. G. Bachelard, La poétique de la rêverie, 1960. English ed. The Poetics of Reverie, trans. by D. Russell, 1971.
3. Jean-François Lyotard, testo inedito, 1979.