MARIA NOVELLA DEL SIGNORE

La scienza di Animal Earth.
David Clegg, Londra, Aprile 2007

In qualsiasi momento, sono disponibili per noi molte realtà contrastanti. Ciò che percepiamo come singolare e reale è un minuscolo dettaglio nel campo delle possibilità che emergono intorno a noi, a cui il nostro sistema nervoso ha dato vita attraverso il calcolo. Altre possibilità coesistono all’interno delle nebbie dei segnali elettrici e del rumore bianco neurologico ai confini e negli interstizi dei nostri sensi, dove danno origine a visioni e sussulti inconsci di immaginazione creativa.
Nel 2004 Maria Novella Del Signore mi aveva mostrato una prima versione ancora senza nome di Animal Earth. Poi, con l’evolvere dell’opera, mi sono fermato occasionalmente a pensare a come altre persone con cui lavoro avrebbero reagito davanti ad essa. Che cosa avrebbero visto nelle sue mutevoli superfici ?

Per quasi dieci anni ho lavorato insieme a ricercatori, terapisti ed infermieri per comprendere ed interpretare le parole apparentemente aliene delle persone ammalate di Alzheimer e di altre forme di malattie cerebrali degenerative. Ho passato centinaia di ore a mettere insieme pezzi di discorsi sconnessi, cercando di capire cosa c’era dietro il rumore balbettante delle parole che si inceppano e di ripetizioni sbiadite. Ho camminato con loro, li ho osservati, ho raccolto i loro disegni e le loro lettere ed ho cercato una qualche coerenza all’interno dei catastrofici processi del declino. Ho visto persone intelligenti cercare di raccogliere ombre dal marciapiede e luce riflessa dalle finestre, confondere i disegni dei tessuti e dei tappeti con il movimento dei ragni e dei serpenti. Ho cercato di identificarmi in loro quando il flusso della musica comincia ad avere effetto sulla stabilità dell’architettura e le pareti degli edifici sembrano luccicare e andare alla deriva come l’acqua. Verso la fine, quando il parlare diventa quasi impossibile, è come se la comprensione dello spazio cominciasse a crollare completamente, i bordi degli oggetti si rompono e si sfumano, le superfici verticali e orizzontali diventano indistinguibili ed il tempo e, di nuovo, gli oggetti inanimati, iniziano a muoversi. Alla fine la demenza spazza via il mondo esterno.

E ciò che vale per la fine della percezione può valere in altri casi ove c’è il mutare della consapevolezza: come nella trance religiosa, nel delirio, nel coma, nell’emicrania, nella deprivazione sensoriale, nei sogni e negli stati di alterazione della coscienza indotti dalla droga. Quando la malattia ed il misticismo sradicano il mondo esterno, le sottostanti impalcature neurologiche alle quali appendiamo le informazioni dei nostri sensi sono messe a nudo. Comune a tutte le esperienze è l’interazione fra il mondo tangibile e il movimento auto-organizzante percepito, o lo scintillamento di un misterioso luccicante bianco, un velo trasparente o iridescente, evidenziato da punti intensi di luce ed ombra mobili. In maniera caratteristica, i movimenti si irradiano verso l’esterno senza seguire alcun disegno definito dal mondo esterno sempre più offuscato. La visione è stata descritta, in effetti, come simile allo sciamare di coleotteri acquatici sulla superficie di una piscina sotto la luce del sole o ai fenomeni entoptici danzanti che vediamo se premiamo i pollici sugli occhi chiusi. Le nuove tecniche di mappatura dell'attività cerebrale suggeriscono che questi meccanismi neurologici siano localizzati nel centro più intimo della nostra coscienza evoluta. L’interpretazione di queste superfici tremolanti e luci sfarfallanti dipende ampiamente dal momento e dal contesto.

I membri della tribù sudafricana San interpretano l’aurea luccicante come il suono delle api e ritualizzano la raccolta del miele e della cera. Hildegard von Bingen interpretava lo stesso fenomeno come castelli radianti, stelle cadenti ed angeli mandati dal Signore. Le nuove teorie puntano sulla deprivazione sensoriale e l’allucinazione come fattori insiti nello sviluppo dell’arte delle caverne, quando 35.000 anni fa l’uomo iniziò per la prima volta a lasciare il suo segno nel mondo con reticoli fluttuanti, punti e superfici fangose increspate nelle caverne di Chauvet e Romanelli. Fortunatamente, nella vita di tutti i giorni il brusio costante del nostro sistema nervoso centrale è solitamente impercettibile tanto quanto il suono della terra che si sposta attraverso lo spazio.

Tuttavia dovremmo considerare la realtà fisica di ‘Animal Earth’ prima di essere catturati dalla poetica delle superfici che si increspano. Come piscine asciutte e polverose, al tempo stesso una sola cosa ed innumerevoli milioni di minuscole particelle. Esse non hanno le fredde certezze comuni a così tante sculture, e mostrano invece una specie di qualità indeterminata, transitoria, non permanente – non propriamente in quel luogo, mai la stessa due volte, dipendente e alterata dal calore e dall’umidità dell’ambiente architettonico circostante, un oggetto semplice ma nel quale ci si può perdere facilmente, assorbito dal paesaggio decadente e rigenerante. La polvere è quanto resta dell’umanità - decadimento sotto forma di polvere, materia del passaggio umano. Accresciamo ogni piccola fossa bianca con i fiocchi della nostra pelle, passando. Una volta, non molto tempo fa, un granello di polvere rappresentava la cosa più piccola che l’occhio umano potesse vedere, ora ognuno di essi è un minuscolo pianeta di carbonato di calcio, che potrebbe rivelare il proprio piccolo paesaggio energetico che si sgretola sotto il microscopio elettronico.

Quindi come dobbiamo decifrare la totalità di Animal Earth? Il posto, la storia, l’archeologia ed il cambiamento sembrano essere i temi principali. C’è qualcosa che evoca la natura della memoria. Come il passato riemerge nel presente. I suoni e gli odori costruiscono ponti fra una stanza a quella successiva. Ma potremmo anche leggere ogni pezzo in modo più diretto come una incubatrice primordiale o come una superficie allucinata del pavimento o come un letto. Comunque decidiamo di leggerli, sarebbe un errore vedere questi lavori come troppo discreti e non tenere conto dell’importanza della loro complessità auto-organizzante che emerge spontaneamente. In definitiva, ciò che è importante non è tanto quello che la gente vede nella galleria, ma ciò che vedrà nel mondo che la circonda dopo aver guardato queste cose, e come affronterà di nuovo la propria realtà. Se apre i propri occhi per scoprire ciò che è già là nelle ondulazioni della spiaggia e nel ticchettio dei nostri sensi.

I sistemi auto-organizzati rappresentano la regola recentemente scoperta in natura, una prospettiva creativa o evolutiva che sostituisce le teorie scientifiche del meccanismo dell’orologio o della ‘morte termica’. Sappiamo ora che la natura ‘pensa’ in termini di caos, auto-organizzazione e dinamiche non lineari. Come la neurologia dell’allucinazione, tali sistemi sono per la maggior parte nascosti, non visti e non sospettati nella vita di tutti i giorni. Per tre secoli la scienza è stata dominata da concetti Newtoniani e di termodinamica che presentano l’universo come una macchina sterile in uno stato di degenerazione e decadenza. Ora c’è il nuovo paradigma dell’universo creativo, che riconosce il carattere progressivo e imprevedibile dei processi fisici. Questo nuovo principio genera complessità ad ogni livello dal sub-cellulare al cosmico, dalle turbolente piccole valanghe di ‘Animal Earth’ alla struttura sociale degli insetti. Oliver Sacks ha descritto l’universalità di questa nuova mitologia come qualcosa che fornisce “una visione completamente nuova della natura e di Dio”.

Gli antropologi ed i politici concordemente ci hanno detto che abbiamo il desiderio innato di un mondo prevedibile e ordinato, un mondo verso il quale siamo orientati, mentre questa nuova teoria suggerisce che nei livelli più profondi, sia internamente che esternamente, tale desiderio non lo abbiamo. La tirannia dell’ordine ci ha spinti a deridere tutto ciò che ci spinge a fare esperienze, mentre non possiamo dare un chiaro significato alle informazioni dei nostri sensi. Solo negli ambienti protetti di gallerie e chiese, caratterizzati da alte pareti di isolamento psichico, possiamo permetterci di essere consapevoli del fatto che il nostro bisogno di arte urta contro la nostra supposta innata preferenza per la stabilità, la certezza e l’ordine, e proviene da qualche luogo totalmente oscuro dentro di noi stessi.